[Rivediamoli] Eric il Rosso – Parte I

Articolo del 13 Settembre 2010

Dal libro “Nelle vene dell’America” di William Carlos Williams

Piuttosto il ghiaccio che fare come loro: prendere ciò ch’è mio con la sola mia forza, loro invece con la stortura della loro legge. Ma quelli mi hanno marcato, perfino ai miei stessi occhi. Poiché io non sono come loro, sono malvagio. Non mi è permesso di metterci le mani sopra: io, assassino, fuorilegge, scacciato perfino dall’Islanda. Poiché il loro modo è quello giusto, e il mio – quello dei re e quello di mio padre – a loro non garba: essere deboli che si tengono insieme per sembrare forti. Ma io sono solo, anche se in Groenlandia.¹

Il peggio è che pur essendo deboli, in qualche modo tuttavia sono forti: l’hanno loro il potere, giusto o storto che sia. E poiché io sono diverso – non che sia malvagio, ma più fedele al nostro sangue, bramoso di comando – proprio questa parte di me, per via dei loro imbrogli, non deve manifestarsi, se non travestita alla loro foggia. Eric era la Groenlandia: la chiamo Groenlandia, terra verde, perché gli uomini vadano a colonizzarla.

Io, quindi, devo aprirgli una strada tra i ghiacci, perché mi seguano perfino qui; loro servo, a dispetto di me stesso. Eppure dovranno seguirmi.

È stato così fin dall’inizio. Mi hanno cacciato via da Jaederen, mio padre e me. Chi era questo Cristo, per venire a darmi fastidio nel mio stesso paese? I suoi vescovi che mentono e falsificano i documenti, mi fanno passare per quello che non sono – come a loro conviene – perché abbiamo ucciso un uomo.

Era forse il primo uomo che sia mai stato ucciso, perché si amareggiassero tanto? Che fosse importante per i loro piani, che per loro significasse molto, concesso: uno del loro stesso colore; noi che l’abbiamo alterato, bisogna cacciarci dalla Norvegia. I loro tribunali, i loro modi cortesi. Non che l’abbiamo ucciso. Uno dei due doveva morire, date le circostanze. Lui o noi. Ma se fossimo stati uccisi noi, l’avrebbero scacciato dal suo paese? L’avrebbero fatto arcivescovo.

In Islanda, allora. Dimentichiamo la Norvegia. E lì che succede? Muore mio padre. Diboschiamo un po’ di terra, a nord. Povere terre, le mie. L’omicidio mi aveva spinto fin lì. Poi sposai Thorihild, lasciai il nord e diboscai un po’ di terra a Haukadal. Dovrei essere mite per questo? Se i miei schiavi provocano una frana nella fattoria di Valthioff e il parente di Valthioff li uccide, io non dovrei uccidere lui? Dovrei starmene lì, svergognato di fronte ai miei schiavi? Io non sono uomo da tremare e sudare come un ladro, quando arriva il momento.

Diciamo che uccisi due uomini, invece di uno. Mi fecero un processo, per conto loro, e mi cacciarono via di nuovo. Verso nord, allora. Le terre più selvagge dell’Islanda.

Un giorno arriva Thorgest e mi chiede in prestito le tavole decorate della mia mensa: per prendermi alla sprovvista. Altrimenti, perché? Perché Eric il Rosso è un uomo marcato, fuori della legge, [...] e a uno così si può rubare, essendo in molti contro di lui che è solo. Thorgest non mi restituisce le belle tavole. Io vado a casa sua e me le prendo, sono mie. Lui mi dà la caccia e nella lotta vengono uccisi due dei suoi figli.

Questa volta ce l’hanno fatta. Ci cercano tra le isole, me e la mia gente.

Così è stato, Thorhall, così è sempre stato per me, fin dal principio. Eric ha cari i suoi amici, il letto, la tavola, la caccia, i figli. È un uomo che sa scagliare una lancia, prendersi una ragazza, governare una nave, arare la terra, seminare, accudire al bestiame, scuoiare una volpe, cantare, ballare, correre, fare la lotta, arrampicarsi, nuotare come una foca. Uno capace di progettare una spedizione e di pagarla, di uccidere un nemico, di trovare la strada nella nebbia, nella tormenta, di leggere le stelle, di vivere nel puzzo, di bere acqua immonda, di sopportare il freddo intenso e il peggio dell’inverno, e di arrivare in un paese nuovo con cento uomini e farceli rimanere. Ma loro mi hanno segnato con un marchio. Hanno diviso l’assassinio in due parti, e me ne hanno legato addosso la peggiore. Essa riempie l’aria che mi sta intorno. Che importa essere uccisi? Ci hanno provato già. È peggio, molto peggio che essere braccati per le isole, scacciati dalla Norvegia all’Islanda, dal sud al nord, dall’Islanda alla Groenlandia, perché … Perché io sono io, e tale rimango.

I fuorilegge non hanno amici. Gli assassini vengono braccati come i conigli tra i sassi. Eppure riuscii a costruire la mia nave, ad attrezzarla, a equipaggiarla, a condurla in salvo al di là degli scogli. A Thorbiorn devo molto. Così ce ne andammo in Groenlandia: dure giornate di lotta contro il ghiaccio e il mare in burrasca. Anche la peste ci colpì. Il bestiame si ammalò. Passavano le settimane. Finiva l’estate quando avvistammo la terra. Questo è il mio destino. Non dico che non mi piaccia. Sono fatto per la vita dura. Ciò che soffro sono io stesso, più veloce dell’acqua o del vento. Ma che debba essere mio soltanto, è questo che mi brucia. È solo la metà. E che siano loro a decidere, mi toglie ogni gusto. A me spetta la parte ingrata, non perché la voglio io, ma perché è quel che rimane, un avanzo del loro mantello. Questo è il fiele sulla carne. Mi colpisca pure, la grandine. Sento una specie di gioia, in queste cose.

La Groenlandia, dunque. E sia. Ricominciare da capo. È sempre lo stesso. Una moglie, i suoi due figli e una figlia. Così la mia vita rimase tagliata in due. E anche la sua logica. Ecco la mia prova. Vivevamo nella nostra fattoria, ben lontani dal mondo. A volte passavano dei mercanti. Poi Lief, figlio di Eric, se ne va in Norvegia, a mille miglia di distanza, un viaggio senza tappe. Ma al suo ritorno, Lief il Fortunato viene spinto dal mare più a ovest, e trova un nuovo paese, di cui ci porta la notizia a Brattahlid. E allo stesso tempo che mi riporta l’orgoglio, la gioia-per-la-sua-azione, la mia azione, l’ascesa di Eric, mi porta il veleno: un editto di Olaf – dalla bocca di mio figlio – solido come una scure per tagliarmi, appena ricomposto, a pezzi un’altra volta.

Non che fosse una novità. Solo che qui in Groenlandia avevo cominciato a credere di essermi lasciato dietro la maledizione. Qui, nei lunghi inverni, nel più lontano Ovest, avevo cominciato a immaginare l’estate che mi avrebbe rivisto intero. La mia gente al lavoro, mia moglie accanto a me, i ragazzi liberati dal mio marchio, sempre più forti e più esperti marinai. Qui c’era una risposta per tutti loro: Thorstein e Lief Erickson, figli di Eric il Rosso, l’assassino! Me stesso a dispetto del mondo intero.

Così mi fecero a pezzi. Il Papa guadagna alla sua causa Olaf. Lief giunge alla corte: Olaf gli dà l’incarico di portare la nuova in Groenlandia. Si sparge come il fuoco. Perché no? Prometti la forza ai deboli e avrai la forza di mille deboli al tuo comando. Thorhild mi scaccia, scaccia l’empio dal suo letto.  Convince anche i miei due figli, Lief e Thorstein, entrambi cristiani. Ed ecco quel che dicono: Eric, figlio del male, vieni e sii perdonato. – Si costruisca una chiesa, lei, e ci dorma dentro.

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Note:

  1. Eric il Rosso visse nella seconda metà del X secolo. Costretto a lasciare la Norvegia per un omicidio, si stabilì in Islanda, ma anche qui venne coinvolto in una serie di faide e uccisioni, fu dichiarato fuorilegge, messo al bando dall’Assemblea, e dovette prendere il mare. Navigando verso est scoprì la Groenlandia: ne esplorò per tre anni le coste meridionali e orientali, e infine si stabilì a Brattahlid. Suo figlio Leif fu il primo esploratore della costa americana. La storia di Eric e degli insediamenti islandesi in Groenlandia e in Vinlandia è raccontata in due saghe del XII e XIII secolo, la Grœnlendinga Saga e la Eirìks Saga Raudha, che Williams segue molto da vicino; sua invenzione è invece la ‘voce’ di Eric.