di Beppa Rigoni Scit
SASSO È FRAZIONE DEL COMUNE DI ASIAGO: la più grande, seppur la più lontana, a esattamente 12,23 Km. dal capoluogo. Conta 500 abitanti, disseminati nelle 13 contrade dalla tormentata morfologia: Chiesa, Lobba, Mori, Ruggi, Grulli, Ecchele, Caporai, Pieretti, Cotti, Colli, Gianesoni, Sprunch, Loca. Anticamente assieme a Stoccareddo faceva comune a sé: il comune di Campanella. Quando fu sciolto, Sasso passò sotto Asiago, e Stoccareddo sotto Gallio.
Tutti i Baù e i Rossi del mondo, (assieme a qualche Stefani), vengono da là e già nel ’500 si diffuse il cognome Dal Sasso. “Rossi”, pare derivi dal colore dei capelli degli antenati (forse cimbri, comunque nordici) mentre Baù dal tedesco baur o bauer: coltivatore, contadino.
Da sempre la frazione, per l’isolamento geografico e la rudezza del territorio, è stata area di forte marginalità ed emigrazione. É oggi un borgo dove ritrovi ancora qualche sprazzo dello spirito di fratellanza tanto caro a Mario Rigoni Stern (che in loco ha espletato censimenti anagrafici): “Prudere liebe”, come ascritto a imperitura memoria nello stemma della Reggenza.
Sasso è stato luogo stragetico per il capoluogo e per tutto l’Altopiano fin dal XIV secolo, quando fu aperta (in contemporanea con Gallio/Val Frenzela) una via per la pianura, sotto il governo dei Visconti di Milano, assai usata dalla Serenissima per trasportare i tronchi adatti ai cantieri navali, assieme a carbone, lana, pelli, formaggi, fluitati da Valstagna (antico porto fluviale dell’Altopiano), attraverso il Brenta fino alla nostra “banchina dei carbonai”, a Venezia.
Sasso è nata con la Calà e per la Calà.
La CALÀ è una delle più antiche opere costruite dall’uomo sul territorio altopianese, seconda in ordine di tempo solo ai Graffiti della Val d’Assa e al villaggio Preistorico del Bostel. Null’altro in zona può testimoniare più efficacemente il passaggio dell’uomo su queste terre.
I lavori di costruzione iniziarono alla fine del 1300 (per volontà di G.Galeazzo Visconti di Milano, che governava al tempo il territorio dopo gli Ezzelini e gli Scaligeri), territorio che solo nel 1403, passò sotto la giurisdizione della Serenissima.
Il progetto “CALÀ” nacque per contrastare lo strapotere che il Comune di Foza aveva assunto, quale porta obbligata per la pianura attraverso la Val Frenzela (da Freya – divinità celtica, adorata assieme a Thor e Odino, dagli antichi abitatori provenienti dallo Jutland), per la valle del Brenta, a cui Asiago per commerciare, doveva pagare dazio.
Se sotto le varie Signorie, la Calà fu utilizzata soprattutto per trasportare legname da costruzione e da ardere, carbone, pelli, carni e prodotti tipici (ortaggi, miele, formaggi, burro), con la Repubblica Veneta fu il legname (a fusto intero sfrondato) il prodotto più gettonato: con gli abeti – alti anche 90 mt. – si costruivano gli alberi delle navi e le parti rigide; con i larici il fasciame, data la naturale flessibilità e la sostenza isolante in esso contenuta (trementina); con i faggi, i remi ed altri componenti (esiste ancora il toponimo: “Col dei remi”).
La Calà era composta da gradoni (4444!) ad affiancare un cunettone in pietra, atto allo scivolamento delle piante.
Ci volevano anche 10 uomini per far scendere un tronco agganciato con corde alla spalla del portantino. Apposite aperture in tornante nel muretto di contenimento, consentivano di far fuoriuscire e ruotare il tronco per continuare la discesa. Fondo scivolosissimo, umido sempre, “sgalmare” (zoccoli) ai piedi, percorso da farsi anche due volte al dì (per un totale di 17.776 gradini!)…più di uno ne è rimasto travolto! Anche le donne avevano il loro da fare con la gerla sulla schiena a portar giù prodotti e riportare su soprattutto: sale, tabacco, farina, pasta, riso.
A Valstagna era infatti nato in riva al fiume un mercato molto importante, perchè raccoglieva come un collettore anche tutti i prodotti della Valsugana provenienti dal Nord, del bellunese e del Cansiglio. E i valstagnesi inventarono un nuovo mestiere: lo zattiere, colui che velocemente attaccava un tronco all’altro con “clamare” e corde, caricava la zattera di prodotti e la faceva fluitare fino a Venezia, dove l’Altopiano aveva la sua darsena personale: la “Banchina deì carbonai”. L’operazione Calà fu assai costosa, non si sa bene con certezza chi co-finanziò l’impresa, il Comune si indebitò ma anche i cittadini si tassarono; come costosa fu la manutenzione a solo carico dei montanari, come da accordi con i “Dòmini”. L’attività resse le sorti economiche di quella parte di popolazione che ne fece uso, ma beneficiò tutti: migliaia di persone per 700 anni, togliendole dalla miseria di una terra avara. Nel 1956, quando fu ultimata la carrozzabile da Asiago a Sasso, la Calà andò in declino.
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