http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/1702_vicenza_di_gusto/477929_le_beccacceallo_spiedo/
«Gli uccelli dai “becchi lunghi” rappresentano il non plus ultra della selvaggina da spiedo».
Nel più famoso dei trattati gastronomici rinascimentali, Bartolomeo Scappi cita una portata di “beccacci e gallinacci arrostiti allo spiedo, serviti con una suppa sotto”, laddove “beccacci” sta per beccacini e “gallinacci” sta per beccacce. Si capisce così anche l’origine del dialettale veneto gallinassa privo dell’intento spregiativo che solitamente si deve a tale suffisso, pieno invece di ammirazione per le rustiche virtù di quella che, con enfasi venatoria, è detta “la regina del bosco”». Così Francesco Soletti dipinge la delizia di quello che definisce “uno spiedo eccelso”, protagonisti beccacce e beccacini, nel libro edito da Terra Ferma: “L’arte dello spiedo nel Vicentino“.
Il libro, sottolinea Loretta Simoni, propone un ricco excursus sullo spiedo come specialità e passione vicentina, con dotti riferimenti a illustri concittadini che dello spiedo hanno cantato le lodi: si va da Mario Rigoni Stern a Virgilio Scapin a Goffredo Parise, per finire con Roberto Baggio che dell’arte di Diana ha fatto un passatempo prediletto, acquistando una tenuta di caccia in Argentina.
E – aggiunge – sebbene l’invenzione dello spiedo si perda nella notte dei tempi, Soletti si sofferma giustamente sul Cinquecento, quella che può a buon diritto essere considerata l’età dell’oro per questo tipo di cottura (in realtà il termine “spiedo” designa anche l’attrezzo utilizzato per cuocere). Ricorda le grandi cucine progettate da Palladio nelle ville con grandi camini per ospitare altrettanto imponenti spiedi. La cottura allo spiedo (va ricordato che a Noventa, nel locale di Mario e Sandra Primon troneggia uno spiedo leonardesco che gira da trecento anni) è una questione di competenza e di pazienza. La beccaccia gira per quattro, sei ore e la preparazione dello spiedo dev’essere accurata. Nel Vicentino, oltre alla ricetta tradizionale, c’è da ricordare anche quella delle “baccacce all’arzignanese”, che ha il suo tratto distintivo nell’uso del limone.
Dal canto suo, Oscar Pietro Pizzato le ha dedicato un libro, intitolato “Beccacce dell’Altopiano”, nel quale ripercorre fatti e avvenimenti.
In passato in Italia ne era autorizzata la caccia anche all’alba ed al tramonto, la cosiddetta posta, durante gli spostamenti per i luoghi di pastura. Oggi tale pratica è proibita poiché in quelle occasioni la beccaccia risulta essere particolarmente vulnerabile per il volo troppo regolare e quasi “a farfalla” a differenza di quando invece viene cercata e insidiata con il cane da ferma. È qui che usa tutta la sua abilità mettendo in atto varie tecniche per nascondersi all’olfatto del cane e, quando costretta ad involarsi, riesce a rendersi quasi imprendibile al cacciatore utilizzando le sue grandi doti di volo veloce e zigzagante.
Tra le curiosità, va ricordato che una razza di cane, il cocker spaniel inglese, oggi apprezzata come cane da compagnia, un tempo specializzata nella caccia alla beccaccia. Inoltre nelle piume dell’ala della beccaccia esiste una particolare penna detta “pennino del pittore” che appunto serve ai pittori per le rifiniture di precisione sulle tele.
Antonio Di Lorenzo